DIVAGAZIONI SULL'UOMO
"La felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa” (Friedrich Nietzsche)
Dalle operette morali di Leopardi "Dialogo della natura e di un islandese" possiamo leggere che La ragione si è sviluppata come prodotto dell'esistenza umana. L'uomo quanto più si andava separando dalla natura tanto più aveva il bisogno di avere il controllo delle reazioni istintive alla precarietà della vita, alla paura di essere al mondo, all'esperienza della sofferenza.
Comunque la ragione, valido strumento gnoseologico, permette all’uomo di
comprendere la natura del nostro animo e di cercare eventuali verità.
Ma ci vuole troppo tempo per capire il mondo e c'è troppo poco tempo per
imparare a vivere. La nostra coscienza molto legata a una immagine positiva di noi stessi, fa fatica a registrare cambiamenti problematici. L'individuo
condizionato dall'essere desiderante senza limiti, trova difficile dare
un senso alla vita, e probabilmente appartenere a un gruppo, sociale,
politico, religioso, culturale. Così in ogni comunità i legami si sono
fatti deboli e precari. Con il limite della razionalità che non può spiegare i misteri della vita, possiamo provare invece ad analizzare i problemi che vivono gli uomini, le loro reazioni e vedere se ci sono possibili soluzioni alla nostra condizione umana.
C'è una contraddizione tra la particolarità e la finitezza della vita di un individuo ed il suo desiderio del piacere infinito.
L'amore
per sé, necessario all'uomo per proteggere e conservare se stesso,
finisce di perdere di vista l'altro, cioè l'amore per il prossimo,
l'amore per il tutto, cioè con l'infinito.
Il narcisismo comporta un sentimento esagerato della propria importanza e
idealizzazione del proprio sé, ovvero una forma di innamoramento di sé.
La
persona manifesta una forma di egoismo profondo di cui non è di solito
consapevole, una evidente concentrazione su se stessa negli scambi
interpersonali ed una incapacità di vedere il mondo dal punto di vista
degli altri.
I tratti narcisistici che appaiono nel corso dello
sviluppo della personalità di un individuo "io sono quel che sono in
relazione a me stesso" contraddicono l'idea di condivisione. Per
realizzare desideri che non hanno confini, l'individuo viola lo spazio,
la dignità, l'identità, il rispetto dell'altro.
Quando si perseguono interessi indivisibili, cioè individuali, farsi
individuo violenta l'individualità di un'altra persona. A causa dell'istinto di sopravvivenza ed autoaffermazione, la voglia di vivere dell'individuo, nel desiderare un piacere infinito provoca la sofferenza negli altri individui ed a volte anche a se stesso. Infatti, l'individuo nelle sue relazione con gli altri, rimuove il fatto di essere violenza in quanto individuo, perché convinto da una falsa coscienza che si stia facendo la cosa giusta. Così la voglia di vivere nei più forti spinge a crudeltà ed egoismi.
Nell'affrontare la difficoltà di vivere l'individuo inconsciamente
esprime comportamenti irrazionali che sono tratti costituenti del
carattere di una persona, dal momento che le stesse funzioni che
regolano la vita psichica degli individui possono portare a dei disturbi
psichici (come paranoie, fobie, fissazioni, manie, pregiudizi,
dipendenze patologiche). Dato il bisogno di comunicare la propria esperienza agli altri, senza rinunciare alla sua singolarità, l'individuo tende ad attribuirsi il merito dei successi e a declinare le responsabilità dei fallimenti. Un comportamento ipocrita strettamente associato all'errore fondamentale di attribuzione, in cui l'individuo è portato a spiegare e giustificare il proprio comportamento. Le persone tendono infatti a cercare nell’ambiente informazioni in linea con i loro preesistenti punti di vista e a interpretare tali informazioni nella direzione di una loro conferma auto favorevole. Per un altro naturale meccanismo di difesa, le persone inconsciamente, poiché mancanti di auto-consapevolezza, tendono a proiettare fuori le proprie caratteristiche personali più profonde attribuendo ad altre persone i propri impulsi, desideri o pensieri, invece di esercitare una efficace introspezione di sé stessi per riconoscere gli elementi più negativi della propria personalità. Questi sono solo alcuni esempi che evidenziano come la difficoltà di conoscere se stessi porta ad un comportamento irrazionale. Pensiamo di essere razionali, ma la ragione è solo un modo per giustificare a posteriori ciò che le nostre emozioni, i nostri istinti e sentimenti già vogliono credere. Sono le cose in cui crediamo che creano la nostra realtà. Per cui non è la ragione ma la vita vissuta a modificare nel tempo il comportamento delle persone. Le soluzioni? Solo mettendo a nudo i limiti della nostra natura umana è possibile conoscere meglio se stessi avendo compassione per l'umanità nel desiderare la felicità per tutti: ascoltare le grida al proprio interno, e nel contempo ascoltare le grida del mondo.
Non esiste una ricetta buona per tutti, bisogna partire dall'esperienza
del singolo. Nel cercare le soluzioni, possiamo solo indicare una via
che si può percorrere individualmente ed insieme agli altri.
Gandhi sostiene, per evitare l'autoinganno, che «Sono le azioni che
contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle
false fintanto che non vengono trasformati in azioni.
Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo».
In una visione unitaria della vita, non c'è soluzione di continuità tra
dentro e fuori di noi, non c'è dualismo tra coscienza di sè e oscurità,
felicità e sofferenza, mente e corpo, individuo e società, uomo e
natura. Tutto diventa uno ed uno diventa tutto. L'Individuo
fa tutt'uno non più solo con la propria vita, ma con la vita di tutti e
di tutto, nelle sue varie espressioni, rappresentazioni ed
interpretazioni possibili. In questa unità della realtà intera, l'uomo
cerca di prendere coscienza di sé, di uscire dalla propria solitudine
esistenziale: un uomo in grado di incarnare un senso di nostalgia del possibile, nostalgia di ciò che ancora non è stato ma potrebbe essere, capace di trascendere la realtà, realizzando così diversi possibili modi di essere uomo. Quindi, essere nel tempo disponibili ad agire secondo le possibilità che il mondo ci offre, essere impegnati nella vita in ciò che vale, che ci fa vivere degnamente, cioè che dona al vivere quella direzione, quel senso verso cui orientare i propri desideri. Nella diversa visione, infelicità e felicità fanno parte di un tutt'uno, avendo come unico desiderio il piacere della vita nella sua complessità, accettando la vita così come è, mentre cerchiamo di cambiarla. Un paradosso necessario per trovare un nuovo equilibrio dinamico in questa contrapposizione. Si
diventa individui dando espressione singolare al sapere comune. Si sa
insieme e si sta insieme nella comunità basata sulla pratica della
libera condivisione nell'uguaglianza di potere di tutti, dove ciascuno è
ugualmente libero rispetto a ogni altro in quanto parte dell'umanità
comune a tutti. L'individuo si illumina quando riesce a vedere quella parte di se stesso che ignorava, cioè nascosta nel buio, nell'ombra della sua coscienza. Prendere coscienza che l'attaccamento al desiderio del piacere infinito è una patologia che rende nevrotica la vita quotidiana. Superare questa condizione esistenziale aiuta a stare bene con se stessi per stare bene insieme agli altri. Nel tentativo di cercare soluzioni alla nostra condizione umana possiamo partire da Friedrich Nietzsche: "La felicità non è fare tutto ciò che si vuole, ma volere tutto ciò che si fa”.
Questo aforisma ci indica la strada di chi sente il desiderio di “dare
forma” alla sua vita spinto a sperimentare una sorta di "semplicità
selettiva", di una assunzione selettiva delle cose.
In questo modo non ci si perde “nelle tante cose da fare”. La sobrietà può essere la risposta a tale dispersione: desiderare tutto ciò che si fa senza desiderare altro. Con
uno stile di vita sobrio, la persona riesce a fare sintesi nella sua
vita, di unificare idee ed azioni, avere una maggiore consapevolezza di
sé. Con la sobrietà possiamo non solo semplificarci la vita, ma anche renderla molto più gradevole. Dovremmo vivere semplicemente, in modo che altri possano semplicemente vivere. Nietzsche affermava che "chi ha un perché nella vita, sa sopportare quasi tutti i come". Allora, si può raggiungere la felicità quando facciamo cose basate su un progetto di vita ben motivato e determinato.
Altrimenti un'altra soluzione sarebbe pensarsi come soggetto che fa del
mondo un oggetto di conoscenza, in una prospettiva di “disincanto del
mondo”, cioè trovarsi in una posizione di chi, abbracciando la
conoscenza è consapevole della propria condizione esistenziale, vive con
distacco i problemi quotidiani.
Ripa Giulio |
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