LA
SINDROME DI PROMETEO OVVERO IL DESIDERIO SENZA LIMITI
"Sappiamo ciò che c'è, ma non sappiamo ciò che potrebbe esserci. Desiderare un mondo migliore è possibile."
Il desiderio dell'uomo di diventare creatore di se stesso non è solo il frutto della nostra epoca ipertecnologica, ma appartiene al mito e alla storia della civiltà: il mito di Prometeo, il Titano che rubò agli dei il fuoco, simbolo della conoscenza e del progresso, per darlo agli uomini, alimentando in essi l'illusione di sostituirsi alla natura, di essere artefici, attraverso la tecnologia, del loro destino. L'uomo contemporaneo pervaso dal narcisismo, sente di essere onnipotente e si illude di poter raggiungere, attraverso la tecnologia, tutto ciò che desidera, senza porsi alcun limite verso la natura e quindi verso la stessa umanità. L'essere desiderante, colpito dai sintomi della sindrome di Prometeo, in una sfida titanica contro i vincoli della natura, trova nella tecnologia l'alleato ideale per poter realizzare tutto ciò che vuole, qualsiasi cosa, qualsiasi oggetto che possa soddisfare i suoi desideri di un piacere senza fine. Dotato dell'istinto alla vita, all'amor proprio, è nella natura di ogni uomo il desiderio di autoconservazione ed autoaffermazione. L'amor proprio spinge gli individui a desiderare sempre un piacere da soddisfare per vivere felici. Così la voglia di vivere stessa “nel far passare il tempo” oblitera, cioè fa dimenticare, la condizione esistenziale dell'uomo. La vita è imprevedibile, incerta, complessa, difficile, a volte assurda. La condizione precaria dell'uomo spinge la natura umana a vivere di illusioni poiché è difficile sopportare la fragilità della propria vita reale. Punto fondamentale di tale meccanismo è lo sviluppo che, con un paradosso del tutto ideologico, spinge verso una crescita infinita in un mondo finito. Grazie allo sviluppo tecnologico, ognuno può desiderare qualsiasi cosa, tranne il desiderio di sognare una società diversa da quella esistente. La tecnologia con i suoi beni, ci rende la vita più comoda, ma una tale facilitazione, si può portar via quanto di più umano ci sia, perché se i beni sono superflui, rendono superflua la vita. L'individuo si sente solo con se stesso rispetto alla fragilità della vita. Ha bisogno dell'affetto degli altri per riempire un vuoto, un'assenza che dà smarrimento ed angoscia. Per questo noi desideriamo di essere oggetto del desiderio di un altro. Quindi desideriamo, per fare un esempio, di essere oggetto del desiderio d'amore di un altro, perché ancora non siamo amati. La mancanza di relazione, di riconoscimento e di affetto attivano nell’individuo che si sente solo, il desiderio innato di essere desiderato dagli altri. Attraverso il meccanismo di compensazione dei desideri, l'edonismo consumista sfrutta questo vuoto affettivo su cui il desiderio degli individui si attiva, riempendolo di cose in eccesso da consumare, riducendo il desiderio a rincorrere un godimento continuo di consumi privati, alla ricerca di un piacere individuale illimitato e fine a se stesso. L’individuo sposta così
l’orizzonte del suo desiderio affettivo represso verso la sfera della materialità per poterlo soddisfare. L'effetto finale è che il godimento immediato sostituisce continuamente ogni desiderio vissuto come relazione affettiva, ideale da raggiungere, valori in cui credere, a scapito di ogni regola e legame sociale. Di
conseguenza, i rapporti sociali sono mediati dagli oggetti e l'inazione sociale dell'individuo rasenta un autismo che disgrega la
comunità. È l’apparenza dell'oggetto che guida e trascina il desiderio di godere. Così l’oggetto, diventato la causa del desiderio, non è ciò che desideriamo, ma ciò che attiva il nostro desiderio e gli dà consistenza.
Tuttavia, il consumo illimitato di cose si rivela sempre illusorio, dato che il vuoto non è mai completamente riempito attraverso gli oggetti. L’effetto inebriante dell'oggetto si consuma nell’istante stesso della sua utilizzazione. Il consumatore, oggetto passivo della volontà di massimo godimento, è consumato dalle cose che consuma, che devono essere continuamente rinnovate per saturare la nuova mancanza, ingannevole e senza fine. L'economia del godimento continuo, del consumo insensato e smisurato, diventa così la nuova religione monoteista, il pensiero unico di uno sviluppo indefinito senza emancipazione, un dogma per questo non discutibile, senza più alternativa. Il monoteismo del mercato polverizza l'intero genere umano, in un pulviscolo di atomi di consumo, reciprocamente indifferenti, dove si accentua la polarizzazione, tra chi dispone del superfluo e chi è privo dell'indispensabile; dove il soggetto si riduce a rango di oggetto, la passione all'interesse privato, il pensiero al calcolo, il valore al prezzo, l'agire a strumento di semplice riproduzione dell'esistente. |
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